Trio in La minore op. 114 - Johannes Brahms

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«Puoi dire addio alla mia musica» è ciò che Johannes Brahms aveva affermato in una lettera del 1890 al suo editore, dichiarando il suo abbandono della carriera musicale, proprio nel momento di maggior splendore. Frenato da una natura meticolosa e autocritica, oltre che dal fardello di grandi aspettative stabilite da Schumann, rientra nella natura di questo artista mettere un punto e annunciare cerimoniosamente la sua ritirata, in un momento ancora di successo. Con una carriera indiscutibilmente illustre e una collezione di capolavori alle spalle, Brahms affermava di aver «lavorato abbastanza; ora lascio che i giovani prendano il sopravvento».
Ciò accadeva però prima di aver incontrato Richard Mühefeld, straordinario clarinettista dell’Orchestra di Meiningen, la cui bravura folgorò il compositore e lo convinse a non porre fine al suo periodo creativo. Fu così che questo fortunato incontro contribuì ad una parte fondamentale del repertorio per clarinetto del secondo Ottocento, con il Trio op. 114, il Quintetto op. 115 e le due Sonate con pianoforte op. 120.
La sua prima esecuzione avvenne il 24 novembre 1891, a Meiningen, ad opera di Mühlfeld, del violoncellista Robert Hausmann e di Brahms stesso, al pianoforte.


A rendere speciale quest’opera vi è, prima di tutto, la scelta dell'organico: la fusione tra i timbri del violoncello e del clarinetto, uniti dal collante del pianoforte, crea un impasto sonoro unico nel suo genere.
Ad esaltazione di ciò, il Trio op. 114, pur con una scrittura densa del pianoforte, rappresenta un perfetto equilibrio tra le parti. L'ispirazione all'origine potrebbe essere stata il clarinetto, ma tutti e tre gli strumenti sono straordinariamente integrati, ricoprendo un ruolo lirico paritario. Nei movimenti esterni entrambi
i temi principali sono inizialmente affidati al violoncello, a partire dal semplice ma potente solo iniziale.
A partire dalla suggestione timbrica degli strumenti prescelti, l’intera composizione è avvolta da un’aura magica, dolce, malinconica, caldamente nostalgica e fugacemente atroce. Frutto di una maturità artistica e personale ormai avanzata, il Trio riflette una luce pallida e dorata, nel suo essere semplice e profondo, oscuro e luminoso allo stesso tempo.

Miniera ricchissima di temi, idee, stati d'animo, sviluppi drammatici e narrativi, la trama è bilanciata tra gli strumenti, posti in rilievo sfruttando i loro attributi peculiari. Nell'architettura in quattro movimenti, il primo e l'ultimo proiettano uno stato d'animo cupo e malinconico, mentre quelli centrali brillano di una luminosità delicata, espressione raffinata e sfumata della sapienza di Brahms nel fraseggio, nella variazione tematica, nell'invenzione lirica e nell'eleganza formale.
L’Andantino cadenzato rappresenta l'intermezzo brahmsiano per eccellenza, un Ländler di immensa grazia, la cui atmosfera incantata è inframezzata da una sezione di trio serena e dal carattere più popolare. In contrasto con il carattere intimo delle due pagine precedenti, l'Allegro finale esplicita il suo carattere folkloristico, intenso e infuocato, segnato da una sfumatura dello stile gitano che aveva affascinato Brahms per tutta la sua vita. Nonostante le ricadute nostalgiche e sofferte, la chiusura non è sommessa, ma acquista forza e chiude l'opera con un peso tipicamente sinfonico.

Martin Fröst (clarinetto), Clemens Hagen (violoncello) e Leif Ove Andsnes (pianoforte) suonano il Trio in La minore op.114 di Johannes Brahms

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